Pamela era una bella ragazza. Non era magra come tutte le veline che si vedono in tv, ma era molto bella: alta, con un bel paio di tette (una quinta abbondante), un culo alto e sodo, abbondante, fianchi morbidi, gambe tornite. Un gran bel pezzo di gnocca, insomma.
E lei lo sapeva, si vestiva sempre in modo provocante, con minigonne attillate, top e reggiseni a balconcino, per mettersi in mostra.
Nonostante questo, però, non si era mai spinta più in là di qualche pompino, le piaceva tantissimo la sborra, ma i ragazzi della sua età non la soddisfacevano.
Pamela voleva essere dominata, trattata come la puttana che era, le sarebbe piaciuto molto un uomo più vecchio di lei.
Spesso, anzi, almeno tre, quattro volte al giorno, si masturbava furiosamente, immaginando di essere usata come una puttana, dominata e scopata a sangue.
Quella mattina, quella in cui tutto ebbe inizio, era vestita come sempre, da zoccola.
Una minigonna di jeans, che le arrivava appena sotto il culo, coprendo a stento la figa, come sempre leggermente umida, solo a guardarsi allo specchio si eccitava come una cagna.
Una maglia che le copriva a stento le tette, lasciando scoperto il solco; i lunghi capelli neri erano sciolti lungo la schiena, fino al culo, e i grandi occhi verdi, da bambina e da puttana, erano circondati da uno spesso strato di eye-liner.
Quel giorno andava in una nuova scuola, doveva attirare l’attenzione.
Pamela era stata sbattuta fuori dalla scuola che frequentava prima perché troppo sfacciata e maleducata e suo padre, un importante uomo d’affari, l’aveva spedita nel suo nuovo istituto, rinomato per la sua severità. Adesso vi doveva affrontare la quinta superiore, e sapeva che sarebbe stata bocciata, Pamela non studiava mai, passava i pomeriggi a masturbarsi.
Lei non aveva potuto obiettare, sua madre era scappata, la vacca, anni prima, e suo fratello maggiore non la difendeva mai, lo stronzo. Alla fine si era rassegnata ed era andata a scuola. Era arrivata abbastanza soddisfatta, sul pullman un uomo di circa una quarantina d’anni le aveva palpato il culo e le aveva infilato il cazzo tra le natiche, strusciandosi contro di lei. Ovviamente, Pamela si era eccitata come una troia, e aveva la fica grondante.
Appena entrata in classe, salutati senza entusiasmo i suoi compagni di classe, era andata in bagno fingendo un’urgenza impellente.
In effetti un’urgenza l’aveva, ficcarsi qualcosa su per la fica. Si guardò intorno nel corridoio, nessuno. E una porta socchiusa prima dell’angolo. Si chiuse dentro ed accese la luce, uno sgabuzzino…
Estrasse dalla borsetta, che portava sempre dietro, un piccolo vibratore, delle dimensioni di un rossetto. Sorrise tra sé e lo leccò, abbassandosi il perizoma.
Si sedette su uno s**tolone, divaricando al massimo le gambe, e se lo infilò dentro, accendendolo alla massima velocità. Cominciò presto ad ansimare, cercando di soffocare i gemiti, mentre si tormentata le tette e si artigliava i capezzoli.
– Ahh, fottimi, scopami dai, sfondami… – sussurrava tra sé, ficcandosi un dito su per il culo.
Venne velocemente, eccitata dalla situazione, e si riassettò i vestiti, pulendo accuratamente il vibratore e rimettendolo al suo posto.
Uscì e si guardò attorno con noncuranza, andando verso alla sua classe. Erano passate ben cinque ore e Pamela non ce la faceva più. Aveva solo professoresse vecchie e bigotte, che l’avevano guardata malissimo.
"Che due coglioni" pensò, rifacendosi il trucco nello specchietto. I suoi compagni la guardavano con la bava alla bocca, pensando a come farsela (avrebbe giurato di aver visto due con delle erezioni davvero notevoli) e le ragazze sembravano sul punto di accoltellarla.
Sospirò, chiudendo lo specchio all’entrata dell’ultimo insegnante della giornata, il prof. di latino, italiano e storia, il signor Rainelli Matteo.
Gioia selvaggia, l’avrebbe visto ben 12 ore la settimana. Alzò lo sguardo e incontrò quello dell’uomo. Era esattamente il suo tipo d’uomo.
Alto, leggermente stempiato, coi capelli brizzolati, il viso leggermente squadrato, occhiali rettangolari e sguardo duro. Nonostante dimostrasse più di quarant’anni, quasi cinquanta, aveva un bel fisico…
"Dio, quanto mi piacerebbe che mi scopasse" pensò, sentendo la figa che si infradiciava.
Restò tutto il tempo a fissarlo, tremando dal desiderio di masturbarsi davanti a tutti.
A fine ora quasi sospirò di sollievo, mentre si alzava.
– "Un attimo, signorina Ambrosi. Devo parlarle."
Fremendo d’eccitazione e di aspettativa, la puttanella si avvicinò alla cattedra.
Come le sarebbe piaciuto che lui la sbattesse sulla cattedra e le sbattesse nella figa colante il suo grande, caldo, pulsante cazzo.
Quasi gemette quando la porta si chiuse e l’uomo le fece cenno di andare vicino a lui.
– "Professore, io dovrei andare…"
– "Zitta. Tu parli quando lo dico io, puttana."
Lei spalancò gli occhi, ma prima che potesse capire cosa stava succedendo, aveva già risposto.
– "Sì signore…" – il suo corpo aveva agito bene, era esattamente quello che voleva.
L’uomo estrasse il cellulare di tasca e lo aprì, schiacciando qualche tasto.
– "Guarda." – glielo mise davanti, e lei si ritrovò a guardarsi mentre si masturbava.
– "Ma cosa…lei…"
– "Ti ho filmato oggi, puttanella." – lei ancora fremette, eccitata da quella parola.
Anche se la sua mente era confusa, il suo corpo urlava di desiderio.
– "Da oggi sarai la mia puttana, altrimenti questo video finirà nelle mani di tutti, anche di tuo padre."
Lei sgranò gli occhi.
– "Sì, lo conosco da anni, siamo amici dal liceo, e se vedrà questo filmato la tua vita finirà. Cosa vuoi fare?"
Che domanda stupida, era ovvio quello che avrebbe fatto, non avrebbe mai rinunciato alla possibilità di farsi sfondare da quello stallone.
Sorrise.
– "Tutto quello che vuole lei, signore"
– "Dammi del voi puttana! E chiamami padrone!" – esclamò l’uomo, tirandole un ceffone.
– "Sì padrone." – mormorò lei.
– "Vieni qui e alza la gonna."
Pamela si avvicinò si più a lui e si sollevò la gonna, mostrando la sua fica depilata e grondante, coperta appena dal perizoma.
– "Sei proprio una cagna, guarda, stai sbrodolando." – mormorò lui. Poi, prima che lei potesse fare qualunque cosa, le afferrò i laccetti laterali del perizoma e tirò con forza verso l’alto.
Lei quasi urlò, aggrappandosi alla cattedra: il filo centrale del perizoma si era conficcato della sua figa, premendo direttamente sul clitoride.
Matteo cominciò a muovere le mutandine, sfregandole avanti e indietro, tirandole sempre più un su, strappando a Pamela dei guaiti.
– "Guarda, una cagnetta in calore" – mormorò.
Prese un evidenziatore dalla cattedra e glielo sbattè su per la figa, strappandole un urletto.
Lo tolse subito e, con un sorriso sadico, glielo infilò su per il culo.
Lei gemette, piegandosi in avanti.
– "In ginocchio, zoccoletta!"
– "Sì, padrone" – si inginocchiò davanti a lui, slacciandogli i pantaloni con desiderio.
Si ritrovò davanti ad una nerchia enorme, solcata di vene pulsanti, dalla cappella rossa e congestionata. Nessuno dei coetanei aveva una verga del genere.
– "Apri la bocca, puttana." – lei schiuse le labbra e Matteo, senza aspettare un minuto, le ficcò l’asta in bocca, fino ad urtarle il fondo della gola ed ancora ne avanzava fuori.
Cominciò a scoparle la bocca, facendole fare avanti e indietro lungo il suo cazzo, tenendola per i capelli.
Lei gemeva, gli occhi socchiusi e lucidi, eccitata come una puttanella.
– "Che bocca che hai, forse perfino meglio della fica. Quanti cazzi hai succhiato, cagna? Sei un cesso, apposta per scaricarci la sborra e così ti userò, puttana schifosa."
Un attimo prima di venire si staccò da lei, sbattendola per terra, e si masturbò furiosamente, scaricandole una quantità enorme di sborra in bocca, sulla faccia, nei capelli…
Pamela beveva tutto con ingordigia, leccandogli il cazzo e gemendo, tre dita su per la fica che grondava di umori, tanto che aveva fatto una pozza per terra.
Matteo si riallacciò i pantaloni e si alzò, tirandole un calcio.
– "Rivestiti puttana. Domani ci rivediamo e anche domani pomeriggio. Tuo padre mi ha chiesto di darti ripetizioni, ci vedremo ogni giorno…"
Pamela a quelle parole quasi svenne dalla gioia.