La prima persona che mi fece provare piacere fu Giovanni. Successe una mattina torrida in casa mia: mi toccò senza spogliarmi e in silenzio – perché mi vergognavo da morire – al termine di un’operazione laboriosa, scomoda e lunga, sentii l’invasione del mio corpo da parte di quella strana, calda e umida forza che tanto dava una sensazione di esaltazione, di sollievo, di sovreccitazione, sensazioni che si possono riassumere in una sola parola: piacere, appunto. Non era successo mai, prima, ma bastò questo perché io mi innamorassi follemente e perdutamente di lui.
La prima persona a cui feci provare piacere fu ancora Giovanni. Successe un pomeriggio fresco in casa sua, fu qualcosa di silenzioso e consapevole, di sporco e di complice: se lo tirò fuori dai pantaloni senza dire niente, già mezzo rigido, e mi parve enorme; senza troppi complimenti me lo mise in mano e mi dettò il movimento, rimanendo ancora zitto, imbarazzato, fino a quando non vidi che appoggiava la schiena all’indietro, contraendo le gambe e i piedi e iniziando ad ansimare e ad arrossire, al punto che pensai che si stesse sentendo male e mi fermai. L’espressione rilassata del suo volto si indurì, mi afferrò il braccio e contemporaneamente la testa, me la spinse giù, proprio laggiù, proprio mentre arrivava a fiotti caldi il suo piacere.
La prima persona che provò piacere assieme a me fu Fabrizio. Successe una notte tiepida in quella tendina canadese così piccola da sembrare adatta a dei lillipuziani: mi disse che provava molto piacere nello stare con me e così forzatamente stretto a me, anzi precisò che quella situazione non lo imbarazzava affatto e mentre lo diceva mi toccava e lo sentivo crescere dietro di me, incollato com’era alla mia schiena e insomma quando si e mi spogliò mi sembrò una cosa assolutamente normale, forse anche inevitabile, che io dovessi provare quello strano piacere della penetrazione, un piacere fatto di dolore e di grida mute e di respiri caldi e profondi, fino a quando non sentii che aumentava il ritmo dei colpi e io istintivamente allargai ancora di più i miei glutei, puntellando le ginocchia unite sul catino della tendina e piegando il tronco inarcato in avanti, mordendo il dolore lancinante che provavo, mitigato da quella forza calda che dai luoghi più interni, segreti e intimi del mio corpo si irradiava fino a ogni cellula, a ogni nervatura, a ogni periferia del mio corpo e della mia anima. Provammo piacere nello stesso istante e me ne accorsi dalla perfetta sincronia di gemiti e spinte, dalla pressione che si era fatta calore liquido dentro di me e fuori di me.
Ho amato, a modo mio, questi primi tre uomini della mia vita, che scoprirono assieme a me o mi insegnarono il piacere. La cosa che più ricordo di loro, però, fu che, pur nell’imbarazzato riserbo che avvolse – a cose fatte – i nostri amplessi, pur magari nella sboccatezza di certi commenti sulle nostre performance, nessuno di loro mi chiese mai la cosa più normale, gentile e dolce che si possa dire a un’altra persona che si è appena amata, e cioè se mi fosse o meno piaciuto. E’ per questo che non so dire se veramente provai piacere, con uno, due, tutti o nessuno di loro: ho la sicurezza però che da quei momenti in poi imparai la potenza del piacere, che ti rende schiavo e col quale puoi rendere schiavo il tuo partner, anche se ero solo una donna nel corpo di un uomo.