Settimana folle. Avevo vissuto una settimana folle. Dodici ore di media al giorno di lavoro. Avevo bisogno davvero di staccare la spina. Mi svegliai quella domenica che era mezzogiorno. Ero distrutto. Non avevo voglia di impegni mondani, incontri con amici. Avevo il bisogno di stare da solo…in silenzio. Lasciai il telefonino spento, mi infilai una tuta da ginnastica e me ne uscii di casa. Colazione al bar. Cappuccino e brioche. Mi dovevo…mi volevo…coccolare. In una grigia domenica di fine inverno, un po’ malinconica, non seppi far di meglio che acquistare un pacco di giornali e rifugiarmi nella panchina più isolata dei giardinetti vicini a casa. Scelsi la panchina con estrema cura. Lontana dall’ingresso per evitare incontri non graditi, lontana dai bambini rumorosi. Ne trovai una (di quelle doppie, dove ci si può mettere seduti da un lato e dall’altro) limitrofa alla siepe che delimitava il confine dei giardini. Per istinto, e per sottolineare la mia più totale avversione verso contatti umani, mi sedetti rivolto verso la siepe. Novello Leopardi !!!
Mi stavo ipnotizzando nella lettura dei quotidiani quando venni disturbato (è proprio il caso di dirlo!!!) da voci acute in una lingua a me sconosciuta. Tre donne di età indefinibile, vestite inequivocabilmente come si vestono le donne dell’Est, si stavano avvicinando cariche di borse della spesa alla mia panchina. Terrore!!! Ne avevo viste altre di donne dell’Est in quei giardini a passare il loro giorno di libertà. Spesso erano accompagnate da uomini (italiani e raramente connazionali), spesso anziani, spesso brutti. Si mettevano sui prati o sulle panchine e trascorrevano la domenica mangiando, bevendo e parlando continuamente.
“No…che palle!!!….proprio qui devono venire a fare il loro picnic???” – mi dissi sconsolato
“Scusi…disturbo se stare qui noi?” – mi chiese gentilmente una delle tre
“No…figurarsi…” – risposi con un sorriso ipocrita
Le tre donne (tutte e tre bionde, occhi azzurri di corporatura robusta) si accomodarono rumorosamente sul retro della panchina cominciando a spacchettare il cibo dai vari sacchetti. E parlavano…parlavano….parlavano. Stavo davvero pensando di lasciar loro il campo libero quando una delle tre toccandomi una spalla mi porse un bicchierone di birra.
“No…grazie…” – mi schernii avendo ancora il sapore del cappuccino in bocca
“Forza…forza….bere bere….” – mi incoraggiò insistendo mentre un’altra mi allungò un panino con dentro un formaggio di cui si sentiva la puzza a metri di distanza.
“Mangiare…bere…” – insisté con un sorriso
“Grazie…ma…” – cercai di res****re ma poi….. – “Ok…grazie molto gentili…”
“Oh…bravo tu giovane…mangia mangia….” – esplosero tutte ridendo allegramente mentre tracannavano i loro bicchieri di birra ed addentavano cose di colori e profumi a me sconosciuti.
E così, di assaggio in assaggio e di bevuta in bevuta, piano piano entrammo in confidenza. Facemmo le presentazioni. I loro nomi? Tutti uguali, tutti incomprensibili. Erano tre russe, tutte e tre sposate (credo) alcune con prole (credo) venute da pochi anni a lavorare in Italia. Erano allegre. Ridevano, cinguettavano nella loro lingua alternando il loro buffo italiano per coinvolgermi nella conversazione. Erano gentili e premurose e, non appena mi ritrovavo con il piatto, o il bicchiere vuoto, si davano un gran da fare per offrirmi nuove pietanze.
A fine delle libagioni spuntò fuori lui. IL BOTTIGLIONE. Una bottiglia di vetro da un litro e mezzo senza etichetta contenente un liquido trasparente come l’acqua. L’odore era quello della nafta. Me ne versarono un bicchiere intero. Io sgranai gli occhi. Dovevo bere quella roba??? Cosa era??? Vodka?…mah…Loro, vedendo il mio imbarazzo di fronte a quella bicchierata di fuoco, mi incoraggiavano, tracannando senza neanche respirare, quel liquido mefitico.
“Forza forza…tu uomo…forte…bere bere.” – mi dicevano quasi sfottendomi
Respirai profondamente e, facendomi coraggio, ingollai tutto il bicchiere in un solo fiato. WOW….e che era???…il sapore non era terribile. Anzi. E soprattutto l’effetto collaterale fu stupefacente. Caldo…caldissimo…in ogni parte del corpo. Quasi cominciai a sudare. Loro, invece, cominciarono a levarsi giacche e maglioni rimanendo, addirittura, in camicetta. La temperatura non era certo delle più miti e cominciava anche ad imbrunire. I giardini si stavano spopolando. Quel coso che mi avevano fatto bere, effettivamente, metteva il fuoco nelle vene, tanto che anche io mi tolsi la giacca di pelle che fino a quel momento avevo tenuto addosso. Rimasi con la sola tuta da ginnastica addosso. E non avevo freddo.
“Tu…sport…?…molto sport?” – mi disse una delle tre
“Macché…solo comodo…comfort…” – cercai di spiegare
E invece tutte e tre si lanciarono in complimenti sul mio fisico che loro giudicavano forte e muscoloso. E lo facevano palpandomi i bicipiti, il petto e le cosce. Lasciai fare. Però quella strana euforia ci aveva conquistato, e quelle toccatine estemporanee, aggiunte ai complimenti, mi fecero partire una leggera eccitazione.
Tirarono fuori dalle borse pacchi di foto e, sedendoci uno accanto all’altro per sfruttare la luce del lampione alle nostre spalle, cominciarono a farmi “conoscere” il loro paese, i loro familiari lontani.
Foto di lande sperdute e fangose, casette di legno con tetti innevati, a****li in libertà. Era come vivere in un documentario. E via via che i pacchetti di foto mi venivano passati con i relativi commenti io li accatastavo sulle mie gambe…e via via che volevano farmi rivedere qualcosa del loro paese le tre donne, con le loro mani robuste, le riprendevano dal mio grembo sfiorandomi ogni volta la zona genitale. E ad ogni pacchetto di foto si riempivano i bicchieri. E si proponevano brindisi.. Eravamo davvero tutti e quattro molto euforici…forse brilli…anzi ubriachi. E i contatti con le loro coscione, avvolte in gonne che sembravano coperte da cavallo, lo sfiorare le loro mammelle ipertrofiche….cazzo…mi stavo eccitando. Mi stavo eccitando tanto da pensare che mi sarei scopato tutte e tre quelle vaccone russe…lì….senza problemi.
Tutto quel bere…e bere…e bere….alla fine stimolò loro, e non solo a loro, la voglia di pisciare. Beh…normale…no? Così due delle tre donne, facendo capire discretamente il loro bisogno imminente, si alzarono dalla panchina e, barcollando, si rifugiarono dietro la siepe per espletare il bisogno. Non si dettero neanche troppo la pena di nascondersi. Le vidi alzarsi maldestramente le gonne ed accoccolarsi per svolgere la funzione fisiologica. Mentre ero un po’ inebetito ad osservare quella scena, la donna accanto a me mise entrambe le mani sulle mie cosce…ma sotto le foto. Lo fece discretamente, con movimenti lenti. Appoggiò la testa sul mio petto emettendo un lungo sospiro come se stesse cercando di manifestare il suo bisogno di contatto umano…magari meglio se di contatto con un uomo. Le sue mani erano ferme lì, quasi a contatto col mio uccello che stentava a mantenere la calma. Rimasi fermo. Le passai soltanto un braccio sopra le spalle accostando la mano lungo la tetta. Rimanemmo in quella posizione….diciamo intima….fino a quando le due donne che erano andate a pisciare sbucarono dalla siepe riaggiustandosi goffamente le gonne. Parlavano sguaiatamente tra loro. Uno di loro cadde in un fragore di risate. Rivolsero, urlando, qualche parola in russo alla loro amica che stava ancora abbracciata a me. Quando arrivarono alla panchina si misero davanti a noi due e scambiarono due parole con l’amica. Ovviamente non capivo niente di quello che dicevano.
“Noi andiamo bar…volete caffé caldo?….” – mi chiese una delle due
“Ah…beh..volevo offrirvelo io…se permettete…” – dissi cercando di svincolarmi dalla donna
“No…voi state qui…portiamo noi caffé…”
Ed indossati i cappotti si diressero urlando qualcosa a quella che era rimasta la quale rispose con una risata sguaiata.
“Che hanno detto?…” – le chiesi
“Niente niente…loro scherzano sempre…”
E senza dar seguito al discorso e senza indugiò mise entrambe le mani sul pacco e soffiando come un mantice mi fece capire (e mi trasmise chiaramente) quello che voleva fare.
Non stetti troppo a ragionare ubriaco come ero e, con un solo movimento, feci balzar fuori dalla tuta il mio uccello bello eretto. Con altrettanta velocità la donna, senza dire niente, ci si fiondò sopra come un falco, ingoiandolo tutto come fosse stato un grissino. La differenza di temperatura tra l’ambiente e la sua bocca era davvero sconvolgente. In pochi istanti l’erezione fu al massimo. Mentre lei lavorava con la bocca il mio uccello io cercavo di abbrancare quel che potevo…ma la manovra era davvero goffa. Mi sarebbe piaciuto prenderle una di quelle enormi tette in mano, strizzarle i capezzoli. Ma non ci arrivavo. Fu lei ad un certo punto ad intuire il mio desiderio e, con mossa rapida ed esperta, sollevandosi solo per un istante dal mio cazzo, si slacciò i residui bottoncini della camicetta e sbarellò fuori dal reggiseno un paio di tette che ci sarebbero volute quattro mani per contenerle tutte. Il capezzolo sembrava quasi un hamburger da quanto era grosso. Con la bava alla bocca per tale visione mi fiondai su tutto quel ben di Dio. Lei, molto amorevolmente, mi accarezzava la testa dicendomi cose (probabilmente) dolci nella sua lingua. Le mordevo, le strizzavo, le leccavo le titillavo….e lei pareva davvero gradire il mio impegno. Con una mano provai anche a penetrare nella gonna….da sopra….troppo stretta…da sotto…le calze impedivano l’accesso….insomma non mi riusciva arrivare alla sua fica che immaginavo gonfia, caldissima e pelosa all’inverosimile.
“No..non toccare lì…troppo vestito…” – mi disse col fiatone e prendendomi le mani mi fece alzare per mettermi in piedi di fronte a lei che se ne stava sulla panchina a tette al vento.
Fu bellissimo. Me lo prese in bocca accarezzando le cosce e le palle con le mani, mentre io continuavo a baloccarmi con quei due globi lisci e caldi. La testa bionda che andava su e giù….stava imponendo un ritmo davvero vertiginoso al pompino. Voleva farmi venire prima che tornassero le amiche….probabilmente. E infatti, come con un sobbalzo le comunicai l’arrivo delle sue amiche, agguantò l’asta e masturbandomi a velocità frenetica mi fece esplodere nella sua bocca. Sentii che la sborrata era stata tanta…intensa…calda…Velocemente mi ripulì il cazzo con la bocca e preso un fazzolettino ci sputò dentro tutto quanto.
“Hai fatto tanto…tu bello…” – e sorridendomi si riassettò le tette e chiuse la camicetta invitandomi con uno sguardo deciso a fare altrettanto.
“Caffé caldo..chi vuole?…” – disse l’amica portando bicchierini di carta fumanti in mano.
Per fortuna avevamo fatto in tempo a rivestirci. Lo sguardo delle due amiche non lasciava adito a dubbi. Sapevano perfettamente ciò che era successo. Anzi ci avevano lasciati da soli apposta. I sorrisini e le occhiate di sottecchi si sprecavano. Ero un po’ in imbarazzo. Il cazzo nella tuta ancora sobbalzava ma per fortuna mi ero infilato di nuovo la giacca e il gonfiore, di conseguenza, non era visibile.
Tracannai il caffè. Avevo bisogno di riprendermi dall’alcool e dal pompino furioso che avevo appena ricevuto. Il calore della bevanda e l’assunzione di zuccheri mi fece riprendere in tempi brevissimi. Adesso avevo soltanto una gran voglia di pisciare. Avevo talmente voglia di pisciare che l’uccello era rimasto gonfio. Quindi, scusandomi con le mie amiche, mi allontanai oltre la siepe, come loro avevano fatto prima e, appena giunto dietro, estrassi l’uccello e cominciai a pisciare con somma soddisfazione….Aaaaaaahhhh…..mentre pisciavano le donne parlottavano ridendo. La donna che mi aveva spompinato sembrava stesse raccontando quello che avevamo fatto. Parlava soltanto lei….quindi….anche ad essere scemi….avevo intuito qual’era il tema del loro chiacchierare e ridere…ovvio che parlasse e raccontasse di me….
Mentre finivo di pisciare e procedevo allo sgrullo….notai un certo silenzio. Allungai il collo e le vidi che facevano capolino dalla siepe per spiarmi. Cazzo !!! Ebbi un sobbalzo e mi coprii velocemente. Loro saltarono all’indietro ridendo sguaiatamente. Risi anche io. Volevano giocare?….mah….di certo erano donne che chissà da quanto tempo non avevano rapporti con un uomo…..si capiva da tante cose. Mi fecero addirittura tenerezza.
Uscii fuori dalla siepe guardandole con un sorriso che voleva essere di rimprovero. Loro se ne stavano una accanto all’altra sulla panchina che mi guardavano sorridendo con le facce da birbone colpevoli. Schiantammo tutti quanti in una risata.
“Ma siete sceme?…che fate mi spiate come le bambine?…” – dissi con ironia senza essere troppo sicuro che mi avessero capito.
“Ma tu bello uomo…tu forte e bello…”
“Ma che dite???…voi siete ubriache!!! Troppa vodka …”
“Nostra amica ha detto che tu grosso…” – e con le mani fece il gesti di indicare una misura nell’aria
“Voi siete ubriache…”
“Dai…su…facci vedere anche a noi tuo grosso uccello…” – disse l’altra in evidente stato di ubriachezza
Le guardai. Ovviamente stavano scherzando. Erano ubriache. Ma io ero più ubriaco di loro. E con un colpo deciso mi abbassai i pantaloni della tuta e l’uccello balzò fuori oscillando scappellato a mezz’asta. La reazione sorpresa delle donne fu quella di saltare sulla panchina coprendosi il viso con le mani. Ridevano a crepapelle…e non avevano il coraggio di guardare. Di fronte alla loro reazione rimasi di fronte a loro maneggiandomi l’uccello. La testa mi esplodeva per il troppo alcool e per l’eccitazione della situazione. Ero pazzo a fare una cosa del genere. Avrei potuto essere denunciato!!! Ma il fatto che non si alzassero e non urlassero mi fece capire che in fondo era proprio ciò che desideravano. Magari scherzavano mentre me lo chiedevano. Magari non si aspettavano che avrei reagito così. Ma ora ero lì…di fronte a loro…con il cazzo in piena erezione.
Smisero di ridere. Una delle tre, allungando un braccio verso di me, cominciò a sfiorarmi le cosce fino alle palle con il dorso della mano. Una seconda, più coraggiosa, si alzò dalla panchina e si accoccolò ai miei piedi con il viso a pochi centimetri dal mio cazzo. Quella che mi aveva fatto il pompino, invece, rimase seduta sulla panchina ad osservare non senza però aver tirato fuori nuovamente le tettone.
Nel buio e nella quiete di quel giardinetto di periferia, in quella grigia ed umida domenica di fine inverno mi ritrovavo, per la prima volta in vita mia, con tre (e dico tre!!!) donne disposte a fare sesso. Ok….non erano delle bellezze…anzi….però l’idea di gratificarle mi eccitava assai. Il fatto di essere apprezzato, coccolato, quasi venerato…mi eccitava come una bestia. Forse era merito dell’alcool. Forse il loro bisogno di contatto umano. Forse la loro astinenza dal sesso…la lontananza da casa…Non lo so neanche adesso cosa di preciso ci mosse tutti e quattro. E forse non mi interessò neanche più di tanto in quei momenti di forte eccitazione.
Presi per i capelli la donna accoccolata ai miei piedi e con una spinta lenta le affondai il cazzo in bocca. La trattenni. Sentivo il suo naso, il suo respiro sui peli del pube. Sentivo la cappella battere sulle tonsille. Lei ebbe ad un certo punto come una mancanza di respiro, come se dovesse tossire. Velocemente lo estrassi ricoperto di saliva e facendo un passo di fianco lo proposi in faccia a quella che fino ad allora mi stava solo accarezzando. Mi guardò quasi timorosa. Non aveva il coraggio di iniziare il pompino. Forse le faceva anche schifo tutta la saliva dell’amica che ricopriva completamente il mio uccello. L’altra, una volta ripreso fiato, si era già piazzata più in basso e stava procedendo ad una meravigliosa leccata di palle. Incoraggiai la donna sfregandole la cappella sul viso…lentamente…occhi, naso, guance….fino a quando arrivai alle labbra. Come le dischiuse ne approfittai per riservarle lo stesso trattamento fatto poco prima alla sua amica. La spinta però, questa volta, fu decisamente meno delicata. La terza sulla panchina sembrava godere assai dello spettacolo e si martoriava i capezzoli che pochi minuti prima le avevo leccato.
La sborrata precedente mi consentiva di agire senza la paura di venire velocemente. Visto che le due donne avevano preso il ritmo giusto, ne approfittai per far altalenare l’uccello da una bocca all’altra. Cercavo di spingere le loro teste vicine, in maniera di godermi anche un loro contatto saffico. Questo non avvenne. Anzi ogni qual volta estraevo il cazzo salivoso da una bocca, l’altra si preoccupava di ripulirlo con le mani prima di ingoiarlo. Guardavo intanto la donna sulla panchina. Mi fissava visibilmente eccitata. Le feci cenno di avvicinarsi. Con molta titubanza si alzò e mi si mise timidamente al fianco. Lasciai alle due donne accoccolate lo svolgimento del pompino e mi dedicai alle tette della loro amica. Le riafferrai violentemente, le strinsi e, chinatomi leggermente le proposi un gioco fatto di morsetti, leccate e succhiate ai quei due capezzoloni. Ansimava dall’eccitazione. Tremava. Con una mano cercò, scivolando lungo il mio addome di raggiungere almeno la base dell’uccello ormai preda delle due accoccolate ai miei piedi. Lo raggiunse e lo strinse con violenza alla base iniziando una lenta ed impercettibile masturbazione quasi dolorosa. Ero stravolto, ubriaco. La donna che me lo teneva in mano ad un certo punto diresse l’uccello verso la bocca di una delle due pero poi, dopo pochi istanti, indirizzarlo verso la bocca dell’altra. Lo agguantò meglio e la masturbazione divenne molto più piacevole ed efficace. Il mio cazzo era diventato gonfio, le vene mi scoppiavano, la cappella tesa e lucida. La sborrata era vicina. Con pochi altri movimenti veloci mi fece venire. Gli schizzi furono violenti e colpirono entrambe le donne accovacciate in pieno volto. Le urla e le risa composte decretarono la fine del gioco. Rimasi in piedi, tremante, con i pantaloni calati e l’uccello che sobbalzava per il violento orgasmo. Cercai di riprendere fiato, il cuore a mille, mi stavo quasi per sentire male. Le donne intanto si aiutavano l’una l’altra a ripulirsi con fazzolettini di carta i visi imbrattati. Ridevano in maniera grottesca, primitiva. Una si attaccò nuovamente alla bottiglia per bere quello che era rimasto. Incredibile!!!
Mentre mi stavo ricomponendo lentamente, le donne cominciarono velocemente a raccogliere i pacchi e pacchettini che occupavano la panchina. Stavano per andarsene. Ero stordito. Una delle tre mi si avvicinò con un bigliettino in mano. C’erano scritti sopra i loro numeri di telefono.
“Amore italiano…stato bene tu con noi oggi?…” – mi disse
“Si…si…certo….” – rispose non troppo felice
“Chiamaci dai…ci troviamo…mangiamo…beviamo…giochiamo….ah ah ah….” – e detto questo mi schioccò un bacio sulle labbra che mi trasmisero il sapore del mio sperma.
“Ciao…ciao bello….”
“…Ah ah ah….” – lentamente il cantilenare delle loro voci scomparve
Silenzio. Giardino deserto. Da lontano la sigla dei telegiornali indicava il momento in cui le famiglie stavano per mettersi a tavola. Leggera nebbiolina dell’umido risaliva lungo i vialetti. Qualche goccia d’acqua cominciò a cadere. Io lì…solo…in piedi….riflettevo. Una domenica buttata al vento? Un’esperienza incredibile? Nessuno mi stava aspettando a casa. Accesi una sigaretta. Mi avviai verso una rosticceria….lentamente.
Il foglietto con i loro numeri di telefono, sapientemente strappato a piccoli pezzi, finì dentro il primo cestino di rifiuti che incontrai.