Mi piace addormentami mentre guardo un film pornografico. La tivù
satellitare abbonda di canali erotici che a ogni ora del giorno e della
notte trasmettono film piccanti. A differenza dei film thriller quelli
pornografici non offrono nessuna suspance, infatti quando li guardo posso
assopirmi senza nessun rimpianto, tanto so già come vanno a finire. Questo
è uno dei motivi che me li fanno preferire a tutti gli altri film quando
la sera mi corico a letto.
Tutto sommato mi addormento meglio quando ho la possibilità di cullarmi
prestando orecchio ai gemiti di piacere che escono dalle bocche delle
pornostar, anziché prestare attenzione a qualsiasi altro programma
televisivo. Di solito programmo lo spegnimento del televisore a 30 minuti
servendomi del timer del telecomando. In questo modo non corro il rischio
di ritrovarmi nel bel mezzo della notte con lo schermo del televisore
acceso. Infatti, mi spiacerebbe svegliami di soprassalto per il fastidio
causatomi dalla luce del tubo catodico o dall’eccessivo volume dell’audio,
specie quando sono nel bel mezzo di un sogno erotico.
Ass****re alla proiezione di un film pornografico mi aiuta a maturare
sogni piacevoli. Mi è capitato anche stanotte di farne uno. Stamattina mi
ritrovo con il cazzo dritto come un palo della luce, ma non credo sia
soltanto merito del sogno che ho fatto. Forse la colpa o il merito, se
così è possibile definirlo, è soprattutto della primavera.
Adesso che ci penso mi accorgo che ho un ricordo confuso del sogno che ho
fatto. L’unica cosa di cui sono certo è che mi sono trovato a inculare una
capra e stranamente godevo come quando scopo una donna. Ancora stento a
crederlo.
Cerco fra le coperte e le lenzuola il telecomando del televisore. Non so
dove l’ho cacciato prima di addormentarmi. Dopo tanto cercare lo trovo sul
parquet. Premo il pulsante su cui ho memorizzato i canali satellitari da
me preferiti e mi porto su SexAnal.
Uno stallone superdotato, dalla pelle scura come il tabacco, sta
affondando il cazzo nel culo di una bionda sistemata gattoni davanti a
lui. Mi perdo a guardare le punte dei capezzoli eccitato dal colore
rosato.
Le tette siliconate pendono verso il basso, ma non accompagnano i
movimenti del corpo della donna mentre scopa come invece dovrebbe accadere
se fossero naturali, invece paiono immobili tanto sono finte.
Il cazzo mi pulsa fra le cosce come un ossesso. Decido di farmi una sega
senza scoprire il lenzuolo. Inizio a giocare con l’asta per costatarne la
durezza mentre una sensazione di calore si diffonde in tutto il corpo.
Arrotolo le dita tutt’attorno il cazzo e incomincio a masturbarmi.
Seguito a fare scorrere la mano avanti e indietro, molto lentamente, sulla
esile pelle del prepuzio per regalarmi piacere e non venire troppo presto.
La mano di una qualsiasi donna non sarebbe in grado di trasmettermi le
medesime sensazioni di cui sono abili le mie dita. E’ questa la ragione
per cui ogni volta che faccio l’amore con una donna non mi faccio mai fare
una sega. Preferisco di gran lunga farmelo succhiare il cazzo, questo sì.
Ho il cuore in gola. Sullo schermo osservo il cazzo che penetra nel culo
della pornostar dilatando a dismisura il lume dell’intestino. Entro in
sincronia con i movimenti degli attori che vedo sullo schermo e sospingo
il cazzo dentro l’apertura della mano che lo avvolge tutt’attorno. Potrei
seguitare a masturbarmi a lungo senza mai venire, ma non posso prolungare
all’infinito questo piacere perché da un momento all’altro mia madre
potrebbe affacciarsi sulla porta come fa spesso al mattino.
Ansimo per il piacere che so darmi da solo. Ormai sono prossimo a venire.
Lo scroto si è rappreso all’inverosimile. Le gambe mi tremano e lo sperma
fuoriesce a spruzzi dall’uretra. Il liquido filamentoso tracima fra le
dita unica barriera all’uscita del seme che lascio defluire sui peli del
pube.
Resto immobile mentre sullo schermo del televisore il protagonista
maschile del film, imperlato di sudore, prosegue ostinato a inculare la
pornostar apparentemente mai sazia.
Sto facendo tutto il necessario per pulire il cazzo, utilizzando il bordo
del lenzuolo, quando sulla porta della camera si affaccia mia madre.
– Sempre a guardare le porcate alla tivù, eh…
Presumo che mamma abbia capito che mi stavo masturbando, anche se ho
mantenuto il cazzo ben coperto sotto le coperte. Purtroppo l’odore di
sesso si sente sempre nell’aria.
– Dai, dormiglione, alzati da letto. Sono già le nove! Non devi andare a
lezione all’Università?
Spero solo che non scoperchi le lenzuola come fa spesso quando è
arrabbiata ed esponga alla luce del giorno il cazzo. Mi troverei in
imbarazzo umido di sperma com’è. Invece si allontana dopo avermi informato
che il caffè per la colazione sta sul tavolo della cucina.
Davanti al portone della facoltà di architettura c’è ammassato un
considerevole numero di studenti. Saluto un paio di amiche e tiro dritto
senza soffermarmi a scambiare una sola parola con nessuna di loro.
Purtroppo non sono capace di instaurare amicizie decenti con nessuna delle
ragazze con cui vengo a contatto. Con alcune ci scopo, se capita
l’occasione, ma le uniche donne con cui ho un rapporto accettabile sono le
protagoniste dei film pornografici che compaiono sullo schermo della mia
televisione, e davanti a loro mi sparo delle gran seghe. Sono attratto
dalla loro figa perché la considero una ferita operosa che per fortuna non
si chiude mai. E questo me la fa desiderare.
A ventitré anni dovrei essere un uomo maturo. A volte mi domando che tipo
di vita è la mia. Sono disilluso e non ho più tanta voglia di seguitare a
impegnarmi nello studio. Con le scarse prospettive di lavoro che mi
riserva il futuro penso che finirò per essere anch’io uno dei tanti
laureati frustrati che per colpa della crisi economica non riescono a
trovare un lavoro decente.
Seguiterò a essere considerato un bamboccione, assoggettato alla sottana
di mia madre fino a quarant’anni. D’altronde anche il ministro Brunetta,
uno dei tanti politici che predicano bene e razzolano male, è arrivato
sino all’età di trent’anni senza essere capace di rifarsi il letto. Lo ha
detto lui stesso che ha imparato a farlo soltanto quando è andato a vivere
da solo. Anch’io farò così, forse.
Mi mancano soltanto cinque esami per conseguire la laurea. Ancora un anno
di studi dopodiché, sarò architetto, ma l’unica prospettiva di lavoro che
mi si prospetta è il precariato.
Sono pochi i fortunati che una volta laureati trovano un lavoro confacente
alle proprie aspettative. Conosco tanti laureati che per costruirsi un
futuro sono stati costretti a lasciare l’Italia e trasferirsi all’estero.
Io non lo farò mai. Forse avrei dovuto abbandonare l’Università per tempo
e trovare un lavoro che mi permettesse di guadagnare il denaro sufficiente
da rendermi autonomo dai miei genitori, invece mi trovo a proseguire gli
studi.
Conosco tanti laureati in architettura che non trovano lavoro. Gente brava
che ha ottenuto il titolo di laurea con 110 e lode, magari anche più
intelligenti di me. Laureati costretti a inviare curriculum alle agenzie
interinali, oppure a cercare sulle pagine dei giornali e sui siti di
internet una qualsiasi occupazione. Uomini e donne attenti ai tanti
passaparola, per ritrovarsi a fare un miserevole lavoro occasionale di
soli tre giorni.
Forse una volta laureato potrei sperare di vincere qualche concorso
pubblico, ma sono pochi i fortunati che riescono a superare le selezioni
senza una forte raccomandazione. Quello che sicuramente potrebbe fregarmi,
se mai in futuro sarò chiamato a sostenere qualche colloquio con gli
esperti di qualche azienda, sono le prove psicoattitudinali. Detesto
sottopormi ai test psicologici. Vorrei essere giudicato per quello che
sono, per la preparazione che ho: quello e basta.
Intanto, con la paghetta che mi dispensano i miei genitori, sono costretto
a rinunciare persino a una pizza da consumare in compagnia degli amici, ma anche a qualsiasi momento di svago per mancanza di soldi.
Qualcosa dovrei fare per uscire da questo stato comatoso in cui mi
ritrovo, invece non faccio niente. Ho l’impressione che la vita mi passi
accanto, forse perché da tempo memorabile ho smesso di sognare.
Mentre mi avvicino all’ampia scalinata che conduce ai piani superiori
dell’edificio, diretto verso l’aula universitaria dove oggi ho lezione,
intravedo Beatrice. Anche lei sembra accorgersi della mia presenza. Si
scosta dal muro dove sta appoggiata con la schiena e mi viene incontro.
– Ciao, anche tu a lezione oggi? – dice dopo che ci siamo scambiati un
doppio bacio sulle guance.
Non capisco se è stupore quello che manifesta oppure solo ironia. Mi
persuado che sia soltanto felicemente sorpresa di vedermi. Fra noi non c’è
niente, salvo una manciata di preservativi che abbiamo consumato quando
siamo stati a letto un paio di volte. Non so dove trovi il tempo per
presentarsi a lezione impegnata com’è nel frequentare un laboratorio dove
guadagna seicento Euro al mese (pagamento in nero), denaro che le serve
per togliersi qualche sfizio e mantenere l’automobile.
– Beh, lo trovi così strano? –
– No, dicevo così per dire.
– Ah.
Beatrice mi precede nell’aula a forma di anfiteatro, di tipo gradinato,
con più di trecento posti a sedere. La seguo dappresso mentre risale i
gradini fra le file di banchi vuoti esibendomi le forme rotonde del culo.
Raggiungiamo una delle ultime file di banchi verso l’alto e finiamo per
ritrovarci abbastanza distanti dalla cattedra. Su uno dei piani di
scrittura lascia cadere la borsetta. Mi guarda e mi fa cenno di sedermi
accanto a lei.
Beatrice è una ragazza dotata di un quoziente d’intelligenza superiore
alla norma, non a caso ha fatto la scelta di iscriversi a una facoltà come
Ingegneria Civile fra le più impegnative dell’Università. A questa virtù
unisce una bellezza burrosa. Sprigiona una simpatia che contagia, e poi è
una di quelle ragazze che non si fa scrupolo a darla via, la figa. Quello
che non capisco è perché insista a rivolgere le sue attenzioni a un
ritardato sessuale come mi considero io, pur avendo un sacco di spasimanti
che le girano d’intorno.
L’aula, contrariamente al solito, non è gremita di studenti. Conto una
trentina di universitari e non riesco a spiegarmene la ragione.
Probabilmente dipenderà dalla coppa intercontinentale di calcio che il
Milan gioca a Tokio a quest’ora della mattina. Infatti, il sesso femminile
è in larga misura maggioritario nell’aula quando il professor Battistini
prende posto dietro la cattedra.
Le luci dell’aula si spengono per dare modo a noi studenti di seguire nel
migliore dei modi le immagini del computer riprodotte dal videoproiettore
sullo schermo.
Finalmente inizia la lezione.
Beatrice sembra poco interessata alle parole del docente, ma intenzionata
a mettermi in imbarazzo. Fissa il soffitto con la matita in bocca, mentre
con il ginocchio insiste a strusciarsi contro la mia coscia.
Faccio di tutto per farle credere che non sto facendo troppo caso alla sua
opera di seduzione, anche se mi ritrovo con il cazzo duro che pulsa sotto
il tessuto dei pantaloni. S’incaponisce nel medesimo gesto fintanto che,
senza curarsi degli studenti disseminati nell’aula, lascia cadere la mano
sulla mia coscia, dopodiché si sofferma a carezzarmi la protuberanza che
sta nascosta sotto la patta.
Eccitato dai continui toccamenti mi lascio scivolare in avanti sul sedile
del banco. Beatrice abbassa la cerniera della patta e con una certa fatica
tira fuori della tana il cazzo senza che io faccia niente per dissuaderla.
Mi lusinga con il movimento della mano che fa scorrere con dei movimenti
lenti partendo dalla radice del cazzo fino verso l’alto. Eccitato dai
toccamenti le metto una mano sopra il capo e lo sospingo verso il basso.
Lei non fa niente per dissuadermi, raggiunge con il muso la cappella e ne prende possesso inglobandola nella bocca.
Prima di cominciare a succhiarmi il cazzo inumidisce la cappella
riversandoci sopra parecchia saliva, dopodiché alterna dei colpi di lingua
con dei movimenti lenti delle labbra. Dopo un po’ che succhia mi stringe
il cazzo tutt’attorno le labbra e sospinge la cappella sino in gola.
Seguita a succhiare per una decina di minuti fintanto che sono prossimo a
venire. Non la informo che sto per eiaculare, forse dovrei farlo se solo
avessi rispetto per la sua persona, ma non ne ho.
Da come ho cominciato ad ansimare e tremare in tutto il corpo sono certo
che si è accorta che sto venendo. Le riverso in gola parecchi fiotti di
sperma che lei deglutisce senza staccare le labbra attorno alla cappella.
Si toglie soltanto dopo avermi stirato il cazzo dalla radice fino alla
punta quando ormai non c’è più niente che sgocciola dall’uretra. Restiamo
seduti uno accanto all’altra fusi in un unico odore fintanto che nella
semioscurità dell’aula mi avvicina le labbra a un orecchio e si rivolge a
me.
– Sei stato bene. – mi chiede.
Non le rispondo. Altrimenti dovrei dirle che ho una profonda avversione
verso tutto. Che ho in odio uomini e donne di questa città, i politici
soprattutto, perché per me vivere in mezzo a questa gente è come essere
tumulato in un cimitero.
Mio padre mi ripete di continuo che nella vita contano soltanto i soldi.
Dice che dovrei farmi furbo. Invece di impegnarmi a studiare dovrei
mettermi a frutto il bel cazzo che ho fra le cosce. Dice che dovrei
mettermi a cercare una donna, possibilmente ricca di famiglia, con
parecchi soldi in dote e farmi mantenere. Magari potrei iniziare col
corteggiare la figlia di Berlusconi o qualcosa del genere, dice mio padre.
Considerato quel poco che vale una laurea oggigiorno, forse non ha tutti i torti.