Il sassolino verde

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I luoghi della mente sono centinaia, migliaia… e certi sembrano fatti di un’essenza così reale, che vorresti non uscirne mai più, ma poi, ti rendi conto che sono trappole, vicoli ciechi, strade senza uscita, ma in un modo o nell’altro DEVI fuggire… anche se ciò comporta circondarti di una falsa libertà, di una libertà invisibile… il prezzo di quella vera, è troppo grande…
Non l’ho più ritrovato, quel sassolino perduto nel giardino del mistero, dove le altalene vanno da sole, e di notte il vento culla i fiori, raccontando loro storie per farli addormentare.
Un posto dove il sole sorge di notte, riposandosi di rado e dove il silenzio regna, assicurandosi di tanto in tanto, che il costante chiacchiericcio di tutti, non faccia troppo caos.
L’avevo trovato per caso, un giorno, in una buca.
Giocavo a nascondino con le ombre e per poco quelle non mi scoprivano!
Infatti, mi ero rifugiato dietro una quercia appena ne avevo vista una e rannicchiato lì dietro, pregavo affinché non venisse nella mia direzione.
Ero troppo intimorito per sbirciare i loro movimenti e così cercai di scacciare l’ansia mettendomi ad osservare ciò che c’era intorno a me.
Né i campi di grano però, né le bianche staccionate, né l’immensa radura luccicante di colori, riuscivano a mitigare la mia paura. Invece, puntando lo sguardo sul terreno qualcosa attirò la mia attenzione: un piccolo cumulo di foglie costruito con troppo zelo, per poter passare inosservato.
Le scostai infilando le dita nella morbida terra, ed ad un certo punto graffiai con le unghie qualcosa di duro. Istintivamente la mia mano si strinse attorno a quell’oggetto come ad un’ancora di salvezza e tirandolo fuori vidi che era una pietruzza colorata, verde scuro.
Non ebbi il tempo di studiarla più a fondo perché all’improvviso una delle ombre spuntò da dietro l’albero e fui costretto a correre per non farmi acchiappare.
Nella fretta di alzarmi inciampai e caddi, ma impiegai ben poco a riprendermi dallo spavento.
La lucidità di rado viene meno nei momenti di panico.
Correvo. Correvo saltando erbacce, sassi e fiumiciattoli, abbassando continuamente la testa per non sbattere contro i rami contorti degli alberi nodosi e a tratti voltavo la testa per controllare la posizione del mio nemico.
Sembrava non ci fossero, tuttavia alle mie spalle sentivo sempre quel sibilo che solo loro sanno creare, quel rumorino che ti mette le ali ai piedi per quanto è inquietante.
Mi ero pentito di aver accettato quella partita perché la posta in gioco era troppo alta.
Per il perdente, la punizione sarebbe stata dura: un mese intero da trascorrere intrappolato nella casa abbandonata che si trovava al limitare del giardino.
Era piena di spettri, che di notte t’inseguivano o ti sussurravano parole diaboliche nelle orecchie, per impedirti di dormire.
Per il vincitore invece, ancora altri sei mesi di libertà. Fino alla prossima sfida.
Mi voltai ancora e stavolta la vidi.
L’ombra stava per raggiungermi e mentre mi sforzavo di raccogliere le ultime forze per salvarmi lo sentì: il boato, segnale che avvertiva gli avversari dell’imminente tramonto del sole; il che significava che c’era mezz’ora di tregua durante la quale ognuno si dedicava alla preparazione di una nuova e più efficace strategia.
Nell’udire quel suono l’essere si fermò, le mani premute sulle orecchie. Mi lanciò un ultimo sguardo di desiderio e si ritirò, strisciando lungo il tronco di un ciliegio.
Premendomi una mano sul cuore trassi due profondi respiri per calmarmi e felice per lo scampato pericolo, tornai sui miei passi per cercare il sassolino perduto.
Passai più di venti minuti ripercorrendo la strada fatta dalla quercia al viottolo del Capitano, controllai il tronco dove loro mi avevano sorpreso, le fronde degli alberi nodosi ma niente: non fui in grado di ritrovarlo.
Era anche possibile che le ombre lo avessero preso in ostaggio per ricattarmi. Ma certo! Era nel loro stile. Stavo appunto architettando un piano per liberarlo, quando sentì una stretta fortissima all’altezza del collo e mi accorsi di essere stato catturato. L’esercito mi aveva circondato!
Preso dal panico cercai di liberarmi, ma fu tutto inutile. Quando un’ombra ti cattura non hai più speranze di salvezza. Del resto anche la mia era andata incontro alla stessa sorte. Ed io, non l’avevo più rivista.
Già mi vedevo intrappolato in quell’orribile villa in rovina dove sarei divenuto vittima delle cattiverie di quei cosi schifosi, quando all’improvviso, davanti a noi, il cielo si squarciò ed un’immensa luce invase il giardino, costringendo le ombre a nascondersi e a lasciarmi libero.
Dovetti coprirmi il volto tanto ero accecato, ma quando la luce svanì, mi ritrovai solo.
Mi guardai intorno.
Non c’era nulla di diverso. I sentieri si snodavano tortuosi come sempre, intricati, mescolati l’uno all’altro tanto che era quasi impossibile capire dove portava ognuno.
L’erba era verde come sempre e come sempre aveva il sapore del miele, le staccionate erano lì, a circondare casette e fattorie e all’orizzonte come sempre, l’irraggiungibile oceano.
Stetti per un attimo a fissarlo, respirando affannosamente, con una mano premuta sul cuore, pensando che mi sarebbe piaciuto tanto poterlo vedere almeno una volta. Ma nessuno era mai stato in grado di capire quale sentiero conducesse lì.
E sì che ci avevano provato in tanti, io in primis.
Decisi poi di controllare che le ombre non mi stessero tendendo l’ennesima imbos**ta, ma avevo appena fatto un passo che la terra tremò e caddi a gambe all’aria rimanendo tuttavia con le mani premute sul volto e gli occhi chiusi finché la scossa non fu finita.
Non so perché ma anche dopo che il tremendo tremore cessò non osavo aprirli, per paura che il cielo mi crollasse addosso.
Quando finalmente potei alzarmi, rimasi pietrificato dallo stupore.
L’albero di fronte a me era aperto in due dalle radici, più o meno fino alla metà della sua altezza, come squarciato da un fulmine; i pochi rami che avevano avuto la forza di res****re cadevano a pezzi, provocando una pioggia di foglie rossicce e le radici erano completamente svellate dal suolo, distrutte. Il terremoto doveva averle spezzate creando quell’apertura.
Mi avvicinai per osservarla meglio e senza neppure accorgermene spinsi la testa all’interno.
Spalancai gli occhi per la meraviglia. Più giù, dentro il cuore del tronco c’era una luce, una piccola luce, che nonostante le minuscole dimensioni emanava un’energia straordinaria.
Non capivo cosa stessi facendo, infatti non mi resi neanche conto di essere entrato nel tronco calandomi all’interno dell’apertura.
Era come se una forza più grande di me mi ci trascinasse.
Ma non appena vi fui entrato con entrambi i piedi caddi. Vi caddi dentro! Precipitavo e non toccavo terra! Urlai, sperando che qualcuno arrivasse ad afferrarmi, anche se fosse stata un’ombra! Preferivo ritrovarmi fra le sue grinfie piuttosto che nell’incertezza più totale.
L’istante della caduta sembrò interminabile. O forse, lo fu veramente; ebbi addirittura il tempo di alzare lo sguardo e guardare sconfortato la luce diventare piccola… sempre più piccola.
Finalmente atterrai, su qualcosa di morbido.
C’era buio intorno a me e tastando con le mani capii di essere caduto sul qualcosa di simile ad un tappeto. Nonostante dovessi essere più che preoccupato per la mia sorte non potei che rallegrarmi: ero sfuggito alle ombre, avevo ottenuto altri sei mesi di libertà!
Le mie labbra s’incurvarono in un debole ma soddisfatto sorriso.
Sentii un rumore e qualcuno accese la luce.
“Come al solito al buio tu eh?” mi chiese.
Non dissi una parola. Mi limitai a guardarlo in cagnesco.
“Ehi! Come sempre mi guardi male eh ragazzo?” sorrise beffardo. “Mah… per la millesima volta, mi spieghi perché sei sempre così arrabbiato con me?” esclamò con un mezzo sorriso, mentre poggiava a terra un vassoio con del cibo.
Ancora una volta non risposi. Chi credeva di prendere in giro? Ero così abituato alle loro farse che ormai le riconoscevo ad occhi chiusi.
Sotto quel vestito bianco si nascondeva senza dubbio il capo delle ombre, che insoddisfatto e ancora furioso per la sconfitta, era venuto per tendermi un’imbos**ta, portando con sé altri servetti che mi fissavano guardinghi.
“Beh” disse svogliatamente “io lo metto qui. Verremo a ritirarlo fra un’ora”.
Mentre usciva si accostò alle mura della stanza. “Guarda qui” esclamò tirando il suo scagnozzo per il braccio e indicando un punto proprio davanti a sé.
“È riuscito a romperla” sussurrò l’altro mentre si voltava per osservarmi di sottecchi.
“Mmm… bene” disse. “Riferirò subito che è necessario un cambio d’imbottitura”.
Detto questo uscirono.
Aspettai che il rumore dei loro passi si attutisse e mi precipitai verso la porta, e spensi la luce.
“Eccomi. Sono pronto”.
I luoghi della mente sono centinaia, migliaia… e certi sembrano fatti di un’essenza così reale che vorresti non uscirne mai più…

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