pomeriggi della dormiente estate delle campagne mantovane andavano riempite con qualche attività, scarseggiando i soldi bisognava inventarsi qualcosa.
Se non puoi permetterti il campo da tennis ecco che il piazzale del campo di tamburello va benissimo. Era il martedì seguente seguente, primo pomeriggio, sole a picco, caldo incredibile, ma di starsene a casa a poltrire non se ne parlava.
Va bene che eravamo giovani e per non ustionarci con il sole usavamo la mitica crema nivea, ma dopo un ora di batti e ribatti eravamo decisamente cotti, quindi altra decisione, tutti e tre a tuffarsi nel Mincio, sotto la fresca ombra dei pioppi.
Erano forse le due del pomeriggio, tutto il popolo dei bifolchi dormiva al fresco, il solo rumore era del vento tra le foglie e lo sciabordio dell’acqua, facemmo una bella nuotata e ci lavammo con un pezzo di grezzo sapone da bucato.
Eravamo stesi all’ ombra freschi e profumati, da una sacca appesa alla moto Francesco estrasse dei panini e qualcosa da bere, poi con fare titubante mi fece guardare nella sacca che aveva dall’altro lato della moto, li dove aveva riposto la racchetta e le palle, dentro vi erano i sandali della cugina Liliana un vestito bianco da tennis, naturalmente femminile con gonna a pieghe, una maschera veneziana di quelle a mezzo volto tutta colorata e fortunato lui una macchina fotografica Polaroid a viluppo istantaneo.
Quasi bisbigliando mi disse: “Volevo chiederti se ti faresti fare delle foto un po strane … sono a sviluppo istantaneo se non ti piacciono le stracci subito”, avevo dei dubbi, a quel tempo avevo corpo magro ben strutturato ed atletico, a quell’ora e in quel posto nessuno circolava se non noi tre, “ Ma si dai … però si tu che Marco non ne parlate con nessuno”. Non erano ancora gli anni in cui travestirsi era ben visto.
Vestito mascherato era calzato cercai di esibirmi nelle posizioni più stupide possibili, ma il fogliame i sassi e le ortiche erano fastidiose, anzi rischiavo an ogni movimento di cadere dalle scarpe.
Dovevamo trovare un teatro di posa migliore, ripartimmo com le moto per le strade di campagna certi che nessuno fosse in vista, cerca e ricerca ecco l’idea il torrione Gonzaga, una torre chiusa al pubblico, ma noi sapevamo come entrare arrampicarci.
Dal alto si scorgeva tutta la valle e il parco Sigurtà, sul terrazzone i vecchi merli dci riparavano dalla vista del mondo e li caricato un nuovo pacchettino di foto riprendemmo il gioco.
Mi sentivo talmente a mio agio con i due cugini, il il fotografo il regista e la modella.
Con quel vestitino molto corto per me che copriva a malapena metà le chiappe mi esibivo in pose sexi, Ispirato anche da quelle pubblicazioni semiclandestine dell’epoca, tolsi il vestito, sporsi il sedere appoggiai il manico della racchetta allo sfintere.
Già ero eccitato da quell’essere nudo all’aperto, con le scarpe alte, pervaso dalla piacevole sensazione di proibito, che bagnai bene il buchino e introdussi un centimetro dell’impugnatura, entrava a fatica era ricoperta con nastro telato, Francesco un tantino agitato dalla strana sensazione comunque i mi fotografò.
Ero preso dall’azione, Marco, che finché aveva potuto mi dirigeva nelle posizioni, mi guardava in trans mi incoraggiò : “Dai non fermarti … osa di più … dai prova … inventati qualcosa”, si ma il manico della racchetta non saliva, era ruvido. Come fare mi ricordai della s**toletta di crema nivea che portavo sotto il sellino, scesi nudo, recuperai veloce la crema, la spalmai con parsimonia sul manico per bene, appena ne misi un pochino sullo sfintere sentii un piacevole calore.
Ripresi a spingermi la racchetta in culo facendola oscillare la racchetta piano piano, ecco il punto critico, primo tentativo ma niente, secondo un pochino più su, poi una spina costante e leggera un piccolo dolore e il manico s**ttò all’interno, mi venne un uuuu di piacere. Intanto Francesco s**ttava le foto, io sempre con la racchetta infilata per bene mi sdraiai ginochhia a terra, protesi il culo in alto, facevo oscillare quel attrezzo senza tenerlo con le mani, mi piaceva.
Giratomi sul fianco afferrai la racchetta e iniziai a mandarla avanti e indietro sempre più forte. Marco guardava fisso quel manico nel mio culo andare avanti e indietro sempre più profondamente, ormai estraevo la racchetta è la rinfilavo con foga.
Francesco era con la lingua a penzoloni aveva smesso di fotografare, si avvicinò afferro la racchetta e continuò a mandarmela dentro e fuori, io riuscivo solo a mugolare.
A marco venne l’ispirazione, “cosa ne pensi se Franci fa una bella mentre ti inculo”.
Ero perso nel mio ruolo “Siii daiiii … dopo però ne fai una a Franci mntre mi incula … ha un cazzo da competizione”.Tolta la racchetta si porto dietro me e prese and incularmi con foga, ormai la strada era fatta e a me piaceva.
Francesco rimase a fotografare, ogni tanto controllava che nessuno arrivasse, Marco era eccitatissimo e in breve mi inondo di liquido caldo agitando il bacino in modo incontrollato,poi si lascio andare al sole sfinito.
Mi dimenticai delle foto, mi posizionai pancia a terra, Francesco si divertiva a spingerlo con forza in me, sperava forse che mi lamentassi ma più accelerava e batteva più mi piaceva terminò anche lui abbastanza alla svelta, ma neanche il tempo di sfilarlo che mi ritrovai ancora Marco,stavolta agì con più calma, e neanche a dirlo, dopo di lui ancora Francesco.
Finita quella follia mi rivestii normalmente e tornammo alle moto, Marco scese a stento dal torrione gli tremavano le gambe tanto aveva dato.
Nel passare dei giorni in quell’agosto caldissimo appena possibile ci riunivamo e ogni volta mi proponevano di infilarmi qualcosa di più grosso e quando ci riuscivo la cosa mi piaceva, a volte esageravamo; mi eccitavano i posti all’aperto, la sequenza, prima la vestizione poi l’esibizione dove anche loro partecipavano a sodomizzarmi con l’oggetto, se passava ma anche se non passava, presi in quel turbine eccitatissimi non mancavano mai le favolose inculate finali.
cugini 2a parte
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