Il Resto della Storia
Dopo quel primo weekend insieme, la relazione tra di noi entrò in uno stadio rilassato e tranquillo. Continuammo a frequentare la nostra cerchia separata di amici e tenemmo la nostra vita privata in comune come un segreto. Mi dispiaceva non poter ballare con lui alle feste o prendere apertamente un appuntamento e so che per lui era lo stesso. Il nostro fare l’amore si evolvette rapidamente in due forme diverse. "Amore difficile" quando c’era poco tempo o il rischio di essere scoperti era alto. Questi atti avvenirvano in locali vuoti ed al di fuori dei luoghi normali o in una delle nostre case quando i genitori erano presenti. L’"Amore difficile" era abbastanza spesso una faccenda atletica. Un improvviso reciproco (ed affettato) amore per la pesca era una scusa accettabile per scivolare via insieme. Questo finché i laghi e le nostre chiappe non iniziarono a gelare. Il mio favorito modo personale di prendere Marco era mentre era chinato contro le mensole dell’infermeria dopo incontri di nuoto casalinghi. A Marco piaceva particolarmente quando era il suo turno in uno di questi incontri. La sua personalità divenne più dominante ed il suo concetto di vezzeggiamenti erotici in queste situazioni degenerò in un bisbigliare: "Sta fermo, baby!"
L’"Amore dolce" era quello che preferivamo ed avveniva quando potevamo passare insieme la notte a casa mia o in qualche luogo dove potevamo non essere disturbati per lunghi periodi. Tra gli impegni medici dei suoi genitori e quelli militari di mio papà potevamo farlo almeno due volte al mese. Durante quelle notti potevamo ballare lentamente insieme o coccolarci uno nelle braccia dell’altro guardando la TV prima di andare a letto. Era un fare all’amore molto più lento e più sensuale in cui ci concentravamo a darci piacere l’un l’altro piuttosto che soddisfare un impulso di accoppiamento.
Nonostante avessi passato la prova di nuoto, ci incontravamo a casa sua, dopo la mia corsa del sabato, per una nuotata, una sessione di istruzione personale e di sesso ricreativo. Quando correvo con papà passavamo davanti alla casa di Marco. Anche se ebbe qualche sospetto che noi facessimo qualcosa d’altro oltre al nuoto, non disse mai niente.
Era una routine di cui non ci siamo mai stancati mentre l’ultimo anno di liceo procedeva. Io ero diventato titolare nella squadra di calcio e Marco si allenava come un matto per poter vincere il suo terzo titolo regionale di nuoto.
Il mio mondo cominciò a crollare a metà stagione di calcio, ebbi un incidente per cui i piedi andarono da una parte ed il torso dall’altra. Il dolore era incredibile. Mi rifiutai di guardare la mia gamba. L’allenatore me la drizzò con cura, io gridai e svenni. I miei giorni nel calcio finirono ufficialmente la mattina seguente quando mi svegliai in ospedale. I dottori decisero di aspettare le vacanze di Natale per fare l’intervento al ginocchio e riparare un’ernia che si era formata durante l’estate, così due giorni più tardi stavo zoppicando per la scuola appoggiato ad un bastone. Il ginocchio faceva dannatamente male. Fortunatamente diedi solo la metà della mia riserva di pillole anti dolore all’infermiera della scuola, ne tenni una tasca piena per aiutarmi ad alzarmi e salire le scale. Le mie opportunità di stare con Marco aumentarono dato che lui si offrì di accompagnarmi a scuola ed aiutarmi con la terapia fisica. Invece di nuotare con lui ogni sabato, facevo la "terapia" nelle calde acque della vasca calda. Fare l’amore divenne maggiormente una sfida per come cercavamo i modi per non mettere pressione o torcermi il ginocchio. Se non altro, Marco si sorpassò in creatività, ma essere piegato sul tavolo di cucina mentre Marco mi infilava non era mai stata la mia situazione favorita.
Due settimane prima dell’operazione programmata, mi svegliai gridando di dolore. Il papà corse, mi vide piegato in due sul letto e chiamò l’ambulanza. La mattina dopo mi trovai in ospedale senza l’’appendice. Il dottore mi informò che mentre stavano rimuovendo l’appendice, era anche intervenuto sull’ernia ed aveva spostato l’operazone al ginocchio a quella sera.
"Ora che ti abbiamo qui dovevamo aumentare la percentuale di utilizzo della stanza.", ridacchiò lui, ma non io.
Marco venne con mio papà dopo la scuola e parlammo un po’. Il papà aveva un volo quella sera ed andò via poco dopo. Appena se ne fu andato Marco sbirciò nel corridoio e ritornò per darmi un rapido bacio. Fece scivolare una mano sotto le coperte, ma io l’implorai di fermarsi.
"E’ dove mi fa più male! E’ come se mi avessero lasciato mezzo tagliato laggiù. Se mi fai alzare spargerò gli intestini sul letto."
“Diamo una sbirciatina rapida", disse lui tirando indietro il lenzuolo ed alzando il bordo del grembiule. Diede un’occhiata rapida e scoppiò a ridere. Le lacrime gli scendevano dagli occhi mentre barcollava verso una sedia e si sedeva con lo sforzo vano di riprendersi.
Mi alzai un po’ per vedere cosa c’era di così divertente ed ansai. Io ero abbastanza peloso ed in questo caso, "ero" era la parola giusta. Dall’ombelico alle ginocchia qualcuno mi aveva rasato. Una foresta spessa di peli sul torace si trasformava improvvisamente in una pianura di pelle pallida attraversata da due serie di punti chirurgici per poi continuare finché la foresta ricominciava sulle ginocchia. Inorridii. Il mio cazzo nudo e le mie palle sembravano una brutta ricrescita violacea che scoccava fuori dal mio inguine. Quello che sembrava tanto attraente in Marco era brutto su di me. La sua risata quasi isterica non mi aiutava. Quando finalmente riprese il controllo ritornò da me e delicatamente mi coprì. Nonostante il dolore e l’imbarazzo sentii che mi diventava duro. Mi faceva male!
"Tu hai sempre succhiato un cazzo liscio e pompato un culo senza peli. Finalmente ho l’opportunità di provarlo”, bisbigliò. "Pensa… Niente peli che mi si conficcano tra i denti. Sarà meglio che tu guarisca velocemente!"
Proprio allora il chirurgo entrò, mi mostrò la lastra e mi disse come avrebbe fatto a ripararmi il ginocchio.
"Ti terremo qui per un paio di giorni per vedere se il ginocchio si gonfia, uno per avere la possibilità di preparare dei ferri speciali ed uno per assicurarci che non ci siano problemi per l’ernia e l’operazione di appendicite. Sarai fuori di qui venerdì e lunedì potrai tornare a scuola. Da Natale avrai meno dolore al ginocchio e dalla fine di gennaio il dolore dovrebbe quasi sparire. Dovrai portare i ferri per i prossimi otto mesi"
“E la terapia?", chiese Marco . "Io ho una piscina riscaldata, può aiutare il nuoto?"
"Preparerò un piano che voglio che lui segua. Ma dopo due settimane potrà aggiungere qualche esercizio che gli piaccia. Il ginocchio gli farà sapere quando smettere."
Il dottore andò via ed entrò un infermiere che tirò indietro le lenzuola e rase il resto della gamba che dovevano operare. Se pensava che la mia metà del corpo rasata sembrava divertente, tenne i suoi commenti per se.
L’operazione andò meglio di quanto mi aspettassi. A confronto col mese precedente il dolore non era proprio insopportabile. Il giorno dopo Natale chiamarono mio papà annunciandogli che avrebbe dovuto andare ad un’esercitazione e sarebbe stato via un mese. Marco venne il mattino seguente con la scusa di aver preso del cibo per me, bussò alla porta con un carico di panini. Seduti a tavola notò che continuavo a grattarmi l’inguine.
"Ora sai perchè mi rado.", rise. "Sarà peggio per un’altra settimana, se poi ci sono dei peli incarnati può essere doloroso."
"Se continua a prudere così, sarà meglio che mi rada", gli dissi. Non so quello che stavo pensando.
"Poi!" gridai. Ma era tardi. Marco era scomparso e ritornò sorridendo. Rasoio ed asciugamani pronti ed un cattivo ghigno sulla faccia. Io non potevo scappare, col ginocchio che mi ritrovavo mi avrebbe preso subito. Mi sostenne verso il divano ed in un momento mi tolse i pantaloncini. Mi spogliò delle mutande e mi guardò.
"Povero bambino", tubò. Fece correre una mano sul mio inguine ed io la sentii raspare sulla pelle. Rapidamente riempì la mano di crema da barba e la massaggiò sopra uccello e palle. Mi piaceva ed io allargai le gambe mentre il mio pene saltava sull’attenti. Erano tre settimane che non mi toccavo il cazzo se non per scrollare la piscia. Per la prima settimana quell’area del mio corpo era troppo tenera e Marco ed io non avevamo avuto alcuna opportunità di stare da soli nelle ultime due. Ero così pronto a venire che probabilmente l’avrei fatto se avessi tirato su troppo rapidamente la mia chiusura lampo. Marco mi tormentò mentre mi radeva l’inguine, cazzo e palle furono pulite. Ogni volta che io pensavo di stare per sborrare, lui si fermava ed aspettava che mi calmassi. Ancora ed ancora lasciò che la mia eccitazione salisse e poi cadesse. Quando rase l’area tra le palle e l’ano, pensai che sicuramente finalmente mi sarei liberato. Marco lo sentì e mi spremette il cazzo con forza finché la sensazione non passò.
"Per favore Marco, mi stai uccidendo."
Lui si limitò a ridacchiare e rase l’interno delle cosce. Poi mi insaponò lentamente e mi rase di nuovo.
"Solo per non lasciare niente", disse tra di se.
Quando ebbe finito mi pulì e mise via la roba. Lo guardai stupito mentre riportava via gli attrezzi. Quando ritornò e si sedette vicino a me, io ce l’avevo di nuovo molle. "Sei un vero cazzone!", ringhiai e presi il mio uccello flaccido.
Marco afferrò la mia mano e la forzò via. Afferrò la sua treccia e ne tenne l’estremità così che potessi vedere i cinque centimetri finali sotto il nastro di gomma.
Si toccò la treccia e mi guardò astutamente.
"Ci ho pensato l’altra notte e l’ho provato su di me. Ci vuole un po’ ma, uomo, ne vale la pena.
Senza dire un’altra parola mise l’estremità della treccia tra le mie gambe e la strisciò contro la mia coscia. Il mio pene barcollò e le mie gambe si allargarono. Senza peli la mia pelle era incredibilmente sensibile. La sua treccia era così lunga che penzolava sempre tra le mie gambe quando lui mi succhiava fino a che i miei peli strisciavano contro di lui quando arrivavo. Era molto eccitante per noi, ma questo era molto più erotico. Lui toccò leggermente con la fine della treccia la parte inferiore del mio cazzo e vi strisciò sopra fino alla cima. Il mio uccello formicolò al tocco. Lui aspettò finché la mia verga cominciò a diventare flaccida e poi carezzò tra il culo e le palle. L’uccello saltò eretto così velocemente da farmi male. Per i minuti seguenti mi carezzò con la treccia, facendo una pausa per farmelo abbassare. Il mio cazzo senza peli era così sensibile, il solo tocco di uno o due capelli mi portava all’orlo di un orgasmo, poi Marco si fermava ed aspettava il crollo inevitabile.
Finalmente mi guardò negli occhi e disse: "Pronto?"
Io ringhiai, "Io sono pronto da 20 minuti, bastardo!"
Marco respirò forte, mi carezzò il cazzo con la treccia ed aspettò che fosse completamente eretto. A me quella cosa nuda e povera sembrava gonfia e frustrata. Marco sorrise astutamente e si chinò in avanti.
"Marco il grande ora dimostrerà come far sborrare un uomo sul suo divano. Guarda, senza mani!" Intonò forte.
Poi corrugò le labbra e soffiò dolcemente sul mio uccello. Mi stupii. Cosa cazzo era! Finalmente c’ero e se non mi avesse masturbato sarei impazzito.
Lui corrugò le labbra e soffiò di nuovo, addirittura più leggermente. Le mie cosce si contrassero improvvisamente e le mie gambe divennero rigide. Una fitta di dolore attraversò il ginocchio malato e poi scomparve mentre i muscoli del culo si contraevano e le palle sbattevano contro il mio cazzo spedendo sperma verso la cappella. La mia spina dorsale si inarcò mentre ogni muscolo nella mia schiena tentava di spingere le mie anche verso il soffitto.
Marco ed io facevamo l’amore silenziosamente, solo aneliti e qualche esclamazione, avevamo imparato a contenerci, nella nostra situazione non potevamo gridare "Oh mio Dio, vengo! Agggggg! Ungggg!", mentre mio Papà stava giocando a poker coi suoi amici e Marco ed io, per loro, stavamo giocando col PC.
Strinsi i denti mentre tutto il mio corpo si dedicava a gettare un paio di milione di cellule di sperma verso la loro morte nell’aria aperta.
"Oh mio Dio, vengoooo! Agggggg!!! Ungggg!!! ", gridai.
Unp sprizzo dopo l’altro di sperma si inarcavano verso l’alto. Tre settimane di frustrazione sessuale alimentavano le mie anche che spingevano continuamente la mia pelvi in aria. Vidi il mio cazzo diventare rosso brillante per lo sforzo e schizzi di sborra cadere sul mio inguine nudo o sopra il mio stomaco ed il mio torace. Gli spasmi continuarono anche dopo che tutto lo sperma era fuoriuscito. Alla fine il mio uccello torturato cedette e mi adagiai con la pelvi coperta di sperma. La schiena mi doleva e le mie cosce si rilassarono rapidamente, pensai che mi sarebbero venuti i crampi. Rimasi accoccolato sul divano, troppo esaurito per muovermi. Ogni parte del mio corpo era iper sensibile ed anche i denti mi dolevano.
Vidi Marco alzarsi lentamente e misi una mano dietro la sua schiena. Con l’altra mano presi l’estremità della treccia come fosse un burattino, lui ed il burattino fecero un profondo inchino ad un pubblico immaginario.
“Grazie, grazie, signore e signori. Il prossimo spettacolo alle undici."
Mi ci vollero 15 minuti per alzarmi dal divano. Quando potevo facevo una treccia coi miei capelli. Le sue mani tremavano pregustando mentre muoveva le mani attraverso i miei capelli. Sapeva cosa stava per accadere ed aspettava con ansia che finissi di radergli l’inguine. La mia vendetta venne quando finii la rasatura e stavo asciugandolo. Lui non poteva contenersi più a lungo e venne quando lo toccai con l’asciugamano. Era furioso con se stesso ed era ancora più arrabbiato con me perché aspettai una settimana intera prima di fare il "Trucco Magico" della treccia su di lui.
La primavera cominciò bene, fui accettato alla stessa università di Marco ed avremmo frequentato le stesse lezioni. In quel periodo penso che papà cominciasse a capire quello che stava succedendo perché Marco ed io lo vedemmo coi suoi genitori a cena in un ristorante di lusso. Facemmo una frettolosa ritirata prima che ci vedessero e mangiammo invece al fast food. Quella sera lo sentii entrare nella mia stanza e sedersi sul mio letto. Avevo così paura di quello che stava per dire che finsi di essere addormentato. Lui mise una mano sulla mia testa e mormorò leggermente: "Ti amo figliolo. Spero che tu trovi la felicità che tua madre ed io abbiamo condiviso per 15 anni. Mi è difficile credere che la felicità verrà da un uomo, ma forse io sto cominciando ad essere vecchio ed anche legato ai pregiudizi del passato. Per favore ricordati, qualsiasi cosa io faccia o dica, io ti amo."
Poi silenziosamente lasciò la stanza. Io aspettai un’ora prima di andare nella sua stanza.
"Ti voglio bene, papà" dissi e ritornai nella mia stanza.
Due mesi più tardi papà rimase ucciso in un difficile atterraggio di fortuna, l’espulsione del seggiolino non funzionò. Io ero a lezione di fisica quando il preside entrò nell’aula e fece segno all’insegnante. Io non pensai a nulla finché non mi guardò con lacrime negli occhi. Uscii dal mio posto ed andai col preside nel suo ufficio dove c’era un colonnello, un cappellano ed un infermiere che mi stavano aspettando.
Non sarei scampato al mese seguente senza Marco, ma al momento non l’apprezzai. Fu lui ad occuparsi di tutto mentre io rimanevo nella mia stanza a fissare muro, mi spiegò che l’assicurazione avrebbe pagato e gli investimenti di mio papà, oltre alla sua assicurazione sulla vita mi davano le risorse per pagarmi gli studi. Andai a scuola ogni giorno perché non c’era niente altro da fare ed ogni giorno Marco camminava con me, con un dolore che non notai mai. Ogni sera di sedeva con me sul divano della mia casa finché alla fine non mi alzavo e lo lasciavo là per andare a letto là. In altre parole ero uno stronzo completo e lo trattavo come spazzatura.
Marco ed io non avevamo fatto sesso in quel periodo. Arrivò la maturità e passò, i genitori di Marco si trasferirono in Riviera dove aprirono un nuovo studio medico dando per scontato che quando noi due ci fossimo laureati in medicina ci saremmo trasferiti là anche noi. Marco continuava a curarmi senza mai lagnarsi.
Alla fine, una sera di giugno, scivolò contro di me sul divano, mi baciò piano e bisbigliò: "Per favore ritorna da me." C’era un singhiozzo nella sua voce.
"Non sono pronto a ritornare con qualcuno! Non te! Nessun altro! Perché non mi lasci in pace.” Ringhiai.
Marco mi guardò male e disse accalorato: "Ricordo quando eravamo più importanti di quanto ci circondava, Voglio che tu mi guardi e pensi a qualcun altro che non sia te. Sono mesi che non mi tocchi."
Qualche cosa s**ttò in me.
"Tu vuoi essere toccato!" Gridai "Io ti toccherò!"
Balzai in piedi e gettai Marco sul pavimento. Gli strappai i pantaloncini, mi piegai e gli presi in bocca l’uccello.
"Com’è essere toccato così", Gridai mentre gli stringevo l’uccello e le palle con le mani. Sentii il mio cazzo congestionarsi per la prima volta da quando papà era morto. Poiché Marco non diventava duro sotto le mie mani, mi tolsi i pantaloncini e mi carezzai rudemente il pene per farlo erigere completamente. Gli alzai le cosce e posizionai il cazzo vicino al suo culo.
"Sto per incularti tanto violentemente che non vorrai più andare con un uomo!"
Stavo per sbattergli dentro l’uccello quando alzai lo sguardo alla sua faccia. Gli grondavano lacrime dagli occhi, ma le lacrime non mi avrebbero fermato nello stato in cui ero. Quello che mi fermò fu il terrore nei suoi occhi. Gli occhi che non avevano mai mostrato altro che amore per me, ora non mostravano nient’altro che paura. L’odio non mi avrebbe fermato dal fargli male. Né mi avrebbe irritato. La cosa che non potevo improvvisamente sopportare era vedere che aveva paura. La mia mente mi gridò che l’unica persona al mondo che avevo amato ora era terrorizzato da me. Scoppiai in lacrime e seppellì la faccia nelle mani, mi acquattai sul pavimento a singhiozzare.
Un tocco leggero sulla mia spalla mi fece guardare in su. Marco era inginocchiato vicino a me. Lo guardai in viso, c’era ancora paura, ma io vidi anche amore. L’afferrai e lo tirai a me in un tremendo abbraccio. Lui grugnì mentre lo schiacciavo contro di me e bisbigliavo: "Dio, come mi dispiace!” e l’abbracciavo e piangevo sulla sua spalla. Lo baciai piano e lo lasciai andare. Lo guardai e dissi: "Penso di aver dimenticato quanto ti amo, Marco. Ti amo troppo ma sento di aver dimenticato come dimostrartelo. In questi mesi amavo averti vicino, ma non riuscivo a dirti quanto e non ricordavo come fare a darti l’amore che tu volevi. Lo so che sto balbettando ma io ti amo e…"
Smisi di parlare perché Marco stava baciandomi e piangendo. Anch’io cominciai a piangere, ci stringemmo e piangemmo uno nelle braccia dell’altro.
“Bentornato a casa, amore mio!" Singhiozzò.
Quando smisi di piangere mi asciugò gli occhi mentre io asciugavo i suoi. Mi chinai in avanti per baciarlo e lui bisbigliò: "Sei pronto?"
"Sì." Fu tutto quello che riuscii a dire.
"Allora lasciami mostrare quello che voglio che tu faccia per me per il reso della tua vita."
Mi tirò in piedi e mi condusse nella mia stanza.
Per le due ore seguenti Marco si dedicò ad amarmi. Cominciando lentamente lo fece completamente. Non c’era parte del mio corpo che non fosse stata baciata o accarezzata. Mi massaggiò gambe, schiena e fianchi. Mi penetro davanti, di lato e di schiena. Mi succhiò l’uccello, lo masturbò coi suoi capelli, con le sue mani e mi strofinò fino a godere col suo stomaco mentre ci carezzavamo. Tutto così lentamente e delicatamente come non avevo mai avuto da lui. Quando pensavo che avesse finito, lo baciai e cominciai a rendergli i favori. Lui mi fermò e disse piano: "Aspetta amore!"
Mi succhiò violentemente e quando ebbi sborrato mi tirò via dal letto in modo che le ginocchia stessero sul pavimento. Stava per penetrarmi ma poi pensò di non poter dare sufficiente spinta, allora mi curvò sulla scrivania e mi inculò duramente. Così duramente che pensai che il suo cazzo mi sarebbe arrivato in gola e mi avrebbe rotto i denti. Poi mi fece stare in piedi contro il muro, braccia e gambe allargate e mi inculò di nuovo. Alla fine mi gettò sul letto e mi succhiò con tale entusiasmo che pensai che le mie palle sarebbero state risucchiate nel mio uccello.
Restammo sdraiati insieme per alcuni minuti per riprendere fiato. Io ero quasi addormentato quando lui mi baciò e cominciò a leccare scendendo verso l’inguine.
"Fermati, fermati! Cedo!" Dissi.
Marco mi guardò sollevato.
"Grazie a Dio! Sei stato insaziabile. Volevo continuare fino a quando avresti resistito, ma non pensavo che saresti durato così a lungo. Sono fottutamente distrutto."
"Bella maniera!" Gli dissi mentre lui si annidava nelle mie braccia e non lo sentì, era già addormentato.
Dormii bene per la prima volta da quando papà era scomparso. Improvvisamente ero di nuovo contento.
Mi svegliai poco prima dell’alba ed andai in bagno. Non ero così indolenzito come avrei pensato ed anche il ginocchio non mi faceva male nonostante il duro trattamento. Marco era disteso sulla schiena a braccia e gambe allargate nella fase "sto quasi per svegliarmi”. Mi sedetti vicino a lui e lo carezzai leggermente. Era coperto di peli! Gli sentii braccia e gambe, erano pelose! Anche il suo torace aveva una lanugine rossastra. Non si radeva da mesi. Dopo quel primo fine settimana, l’avevo raso una volta alla settimana ed ora era ovvio che lui non si era raso fin da… quel giorno.
Ritornai nel bagno e feci una treccia coi miei capelli. Non era come quella di Marco ma sarebbe andata bene per quello che volevo fare.
"Prima le cose principali”, riflettei guardando il suo cazzo e l’inguine coperti di peli. Non avevo mai fatto un pompino ad un ragazzo con peli sull’inguine e Marco cominciò a svegliarsi quando gli leccai il cazzo. Mi implorò di aspettare fino a dopo che avesse pisciato e minacciò di pisciarmi in gola se mettevo di nuovo lì la mia bocca. Lo feci alzare delicatamente dal letto. Lui era ancora abbastanza intontito mentre lo conducevo in bagno. Quando ebbe finito lo feci sdraiare sul pavimento e cominciai a leccargli lentamente le palle e l’uccello fino a che non divenne duro. Marco ce l’aveva grosso abbastanza da non permettermi di prenderlo tutto in bocca così per la maggior parte del tempo usavo una mano come aiuto per trattarlo "nella maniera opportuna”. Questa volta leccai e succhiai su e giù la sua asta mentre lui si contorceva sul tappeto. Quando i suo lamenti divennero un po’ più forti sentii i muscoli delle sue gambe che cominciavano a tendersi e gli feci scivolare un dito nel culo per finire l’atto. Lui afferrò la mia testa per trattenerla mentre sgroppava le anche e mi fotteva la faccia. Ingoiai il suo sperma che emergeva velocemente dal suo uccello. Marco mi fissava mentre pompava la sborra nella mia bocca. Ingoiai. Ingoiai il primo fiotto poi sputai il resto sul suo stomaco e lo pulii con la lingua.
Dopo un rapido bacio cominciai il passo seguente del mio piano architettato per lui quella mattina. Trovai il rasoio, lo massaggiai e lo rasai contemporaneamente. Gemette di piacere e si lasciò cadere nella sonnolenza mentre rasavo e massaggiavo i suoi muscoli stanchi. si svegliò completamente quando cominciai con l’inguine. Rasai con attenzione lo scroto e la striscia appena visibile di peli rossi dal culo alle palle. Quando finii col cazzo era pronto per qualsiasi cosa e cominciò a strofinarsi le cosce in attesa.
Presi la fine della mia treccia e gliela mostrai, lui indovinò quello che stava per accadere e gli diventò duro quasi immediatamente. Era passato tanto tempo da quando si era rasato che si era dimenticato come sarebbe stato sensibile il suo corpo. Cominciai dal collo e spostai lentamente la treccia sul torace, attraverso i capezzoli e verso le ascelle. Ci volle mezz’ora di tittillamenti per arrivare al suo ombelico e lui gemette e si dimenò per tutto il tempo. Ci volle tanto perché mi fermai lungo la strada per aspettare che la sua durezza cessasse. Passai ai suoi piedi e strisciai sul suo corpo. Alla fine lo feci venire quando carezzai con la treccia il percorso dalle palle al culo senza avergli mai toccato il cazzo, era torturato dalle convulsioni ma per gli sforzi della notte non c’era praticamente sperma. Aspettai un po’, poi trascinai l’estremità della della treccia sul suo pene flaccido. Si indurì di nuovo ed io passai un’altra mezz’ora a toccarlo lentamente con la treccia finché non venne di nuovo, addirittura più violentemente della prima volta.
Lo condussi al letto e lo inculai il più lentamente possibile. Tenni lontane le sue mani dalla sua carne. Quando sentii che il mio orgasmo era imminente, avvolsi una mano nella mia treccia e cominciai a carezzarlo. Venimmo contemporaneamente ed i nostri spasmi di brividi divennero sempre più forti finché non ci lasciammo cadere sul letto esauriti. Lo baciai e carezzai finché non lo sentii indurirsi di nuovo. Lo condussi di nuovo in bagno, lo feci sdraiare sul sul pavimento, raccolsi un rasoio nuovo e lo rasai di nuovo.
Quella sera ci coccolammo sul divano guardando un vecchio film. Quando finì lo baciai dolcemente sulle labbra e gli dissi di chiudere gli occhi. Quando lo fece, presi dalla tasca la fede di mia madre e gliela feci scivolare sul mignolo sinistro. I suoi occhi si spalancarono colmi di lacrime. Gli diedi la fede di papà. Marco stava tremando visibilmente e le sue mani tremavano tanto che non riusciva a far scivolare l’anello sul mio dito. Lo tenni stretto fino a che le lacrime ed il tremore non cessarono, poi bisbigliai che dopo l’università gli avrei comprato un diamante, se fossi riuscito a trovarne uno degno di lui. Marco si morse un labbro e le lacrime ripresero. Poi si precipitò nella stanza degli ospiti dove aveva dormito durante la mia crisi.
Ritornò un minuto più tardi con una vecchia s**tola di gioielleria.
"Questi erano della mia nonna, la mamma me li diedi quando le dissi di noi."
Nella s**tola c’era degli orecchini di smeraldo antichi, Marco mi tolse il mio orecchino e lo sostituì con lo smeraldo. Si tolse un cerchietto d’oro riccamente ornato dal suo orecchio e lo mise al mio altro orecchio. Al posto del cerchietto mise l’orecchino di smeraldo.
"Finalmente", sospirò. "Siamo una coppia perfetta."
Mi guardò profondamente negli occhi ed attraverso le lacrime disse: "Io ti amo!"
Lo baciai dolcemente e risposi: "Io ti amo. Io sono tuo per sempre."
Una mano sul mento mi fece uscire dal mio sogno ad occhi aperti. Guardai la faccia di Marco.
"Dove eri? Sembravi lontano un milione di chilometri!" Chiese con un dolore lancinante di gelosia.
"Stavo ricordando i nostri anni al liceo e la notte che ci sposammo." Gli dissi mentre gli carezzavo amorosamente il cazzo tentando di capire quanto fosse vicino all’orgasmo. E’ abbastanza vicino, pensai. Afferrai la lunga treccia che portavo solo per questo scopo e l’avvolsi intorno al suo pene come lui aveva fatto anni prima avvolgendola intorno al mio.
"Allora sei perdonato", rispose. "Ma torniamo alla questione."
Grugnì mentre io spingevo con forza.
Continuai a spingere andando più profondamente e prendendo il ritmo mentre mi sentivo arrivare alla liberazione, anche Marco lo era, il tempismo era tutto ed io lavorai con forza in maniera che i nostri orgasmi fossero simultanei. Il mio spingere si trasformò in un pompare mentre sentivo aumentare la pressione nel mio inguine. Resistetti finché potevo e quando la pressione divenne insopportabile, afferrai la treccia e tirai. I lunghi capelli avvolti intorno al suo cazzo scivolarono agevolmente nel cappio che avevo fatto sul suo uccello stringendo mentre aumentavo la tensione. Spinsi un’ultima volta il più profondamente possibile mentre strappavo la treccia dal cazzo. Ringhiammo tra i denti mentre venivamo. Pensai che il mio uccello sarebbe scoppiato dentro di lui mentre convulsione dopo convulsione di piacere, pompavo il mio sperma nel suo culo. Il suo orgasmo sparò in cielo lo sperma per precipitare poi sul suo torace e sulla faccia mentre la schiena si inarcava e lui spingeva le sue anche in aria.
Strofinai la sborra sul suo torace senza peli e giocai con l’estremità sensibile del suo uccello mentre mi diventava molle dentro di lui. Lui si contorse, io mi estrassi, mi sdraiai accanto a lui e ci accoccolammo insieme.
Il giorno seguente le nostre vite sarebbero entrate in una fase nuova, avremmo raggiunto i suoi suoi genitori. Marco mi guardò e sorrise.
"Era tanto tempo fa. Due anni di liceo, università, internato…"
Vedevo gli anni accumularsi sulla sua testa e lo fermai con un bacio.
"Io vivo solamente per il futuro", gli dissi.
"Stronzo. Tu vivi solamente per il sesso."
Mi baciò leggermente e poi si sdraiò per dormire. Io aspettai pazientemente finchè non fui in grado di sistemare braccia e gambe per avvolgerlo. Quando finalmente il suo respiro mi disse che si era addormentato, baciai la sua fronte e gli dissi, come avevo detto ogni notte per più di otto anni:
"Io ti amo. Io sono tuo. Per sempre."